“….Dove è che andate quest’anno?….”, “…cosa?!, “…Turchia Orientale, ma siete pazzi là sparano!!!…”.Più o meno erano queste le reazioni dei nostri amici, parenti e interlocutori in genere. Come prologo davvero niente male, partiamo non certo nelle migliori condizioni psicologiche, peraltro andando alla ricerca di notizie di prima mano sulla sicurezza nella zona non riceviamo nessuna garanzia. Guide, siti Internet, libri con resoconti di viaggio non fanno altro che spaventarci, tuttavia le fonti consultate non riportano informazioni freschissime facendoci quindi sperare in una normalizzazione della cosiddetta questione CURDA, in ragione della sospensione della pena capitale inflitta al leader del PKK, OCALAN, dal governo di ANKARA.
I nostri propositi di viaggiare per la parte orientale e sud-orientale del paese, in una parola nel KURDISTAN, si fanno di ora in ora meno spavaldi.
Nascono divergenze d’opinione sull’itinerario con il secondo equipaggio, così preferiamo lasciarci liberi di interpretare il percorso al meglio dei propri desideri e capacità. La partenza è fissata per la notte di Sabato 4 Agosto, viaggiamo tutto il giorno con un traffico da bollino rosso. Dopo circa 850 Km. raggiungiamo BRINDISI dove schiere di motociclisti attendono la nave della TML per CESME, quest’ultima viaggia con circa quattro ore di ritardo, di conseguenza slitta la partenza dalle 23,00 alle 03,00 di notte. Oltre non essere puntuale, non’è nemmeno una bellezza nonostante in due con cabina, ritorno su VENEZIA più moto, sborsiamo quasi 2.500.000 Lire. In navigazione abbiamo modo, come sempre accade, di conoscere altri colleghi quindi di confrontare itinerari e progetti di viaggi più o meno ambiziosi; c’è chi una volta sbarcato cercherà la prima spiaggia a destra, chi visiterà CAPPADOCIA e COSTA TURCHESE, pochi quelli che raggiungeranno il NEMRUT DAGI, ancora più ristratta la cerchia di quelli che si spingeranno fino all’estremo oriente anatolico, una rarità, poi, quegli avventurosi che la TURCHIA la attraverseranno solamente per approdare verso mete ancora più esotiche, IRAN, in primo luogo, SIRIA e GIORDANIA, a questi come a quelli che viaggeranno attraverso la repubblica degli AYATOLLAH, guardiamo con un pizzico di invidia. La mattina del Lunedì di fronte al porto di CESME la nave invece di attraccare se ne rimane inspiegabilmente a qualche centinaio di metri dal molo in attesa di chissà cosa, così al ritardo della partenza se ne aggiunge un’altro di un paio d’ore. Sbarchiamo di primo pomeriggio impiegando altre due ore per superare le pastoie burocratiche della dogana. Mettiamo in moto che sono quasi le 15,30, e pensare che ci siamo sorbiti 850 Km. di autostrada per raggiungere BRINDISI solo per guadagnare poco più di mezza giornata rispetto alla nave gemella che salpava da VENEZIA, decisamente più comoda per chi risiede nel Nord.
Ottanta Km. e l’autostrada da CESME piomba nel bel mezzo della caotica IZMIR, un’ora buona nel traffico e complice il gran caldo, noto il display della temperatura dell’olio raggiungere livelli mai visti, poi finalmente guadagnamo la giusta direttrice per AFYON.
L’impatto con le strade turche è tutto sommato meglio del previsto, il traffico per la verità non è dei più disciplinati ma i turchi non sono tuttavia quei pazzi scatenati al volante descritti in alcuni resoconti, certo, l’attenzione alla guida rimane indispensabile, lo stato delle strade spesso non consente distrazioni, le poche, per poco non ci costavano pneumatici, cerchi, ammortizzatori.
Arriva la sera e con essa la stanchezza, dopo oltre 500 Km. troviamo rifugio in un meraviglioso Hotel cinque stelle da capitani d’industria con tanto di ascensori panoramici, marmi a profusione, telefoni fino nelle toilette oltre ad arredi moderni e raffinati, insomma tutto quello che non ci saremmo mai aspettati in TURCHIA. Anche il costo della camera ci sorprende, 60.000 a testa, colazione e cena inclusa, e che cena!.
L’indomani ci concediamo un’intera giornata di relax approfittando di tutti i comfort offerti da l’Hotel; sauna, bagno turco, tuffi in piscina e quant’altro.
Corroborati come non mai riprendiamo la marcia direzione CAPPADOCIA, il viaggio è piacevole e anche le temperature sugli altipiani anatolici non sono mai fastidiose. In occasione di una sosta su di una strada semideserta, per scattare alcune foto, a pochi metri da noi due tizi a bordo di un’auto accostano sul ciglio della strada, rimanendo per qualche minuto ad osservarci, uno di loro fà cenno di avvicinarmi, sono un’pò perplesso l’auto non ha segni di riconoscimento alcuno, poi forse avvertendo i miei tentennamenti uno dei due estrae un taccuino mostrandomi il distintivo della Polizia, mi domandano se abbiamo problemi con la moto o se abbiamo bisogno di aiuto, ma rispondo che è tutto ok, allora mi interrogano sulla provenienza, “…ITALIA”, faccio io, “…ITALIA, Fatih Terim, Milan, Hakan Sukur…” ecc. ecc., il loro orgoglio sale a dismisura pronunciando i nomi di coloro che stanno facendo onore alla TURCHIA nel nostro paese. Mentre cerco di appagare la curiosità dei due agenti, noto una pistola radar fissata sul cruscotto, sarà un presagio, una costante, ahimè, di tutto il viaggio.
Sfioriamo KONYA e nonostante un importante museo proseguiamo, la tabella di marcia non ci consente ultriori deviazioni. Il paesaggio si fà via via sempre più arido, non mancano peraltro splendidi contrasti cromatici. Superiamo antichi caravanserragli che ricordano l’importanza di un tempo di queste terre e vie di comunicazione, di qui sono transitati proprio tutti: Eserciti, conquistatori, avventurieri, esploratori e merci da e per l’estremo oriente.
Giungiamo a GOREME e la sua vallata è un fiorire delle più bizzarre e spettacolari formazioni rocciose. Il luogo è magico, lunare. Coni di tufo e rupi a nido d’ape ovunque. Visitiamo tutto o quasi senza una logica precisa ma lasciandoci trasportare dall’istinto. Il tramonto è ormai prossimo, ci dirigiamo a pochi Km. da GOREME, ZELVE con questa luce è se possibile ancora più spettacolare. L’indomani ci attende ancora il museo a cielo aperto di GOREME in mezzo, putroppo, a vocianti comitive di turisti. Riprendiamo la BMW dirigendoci verso un’altro importante luogo della CAPPADOCIA, ILHARA, che decidiamo di raggiungere optando a NEVSEHIR per strade secondarie attraversando stupendi paesaggi. Prati verdissimi circondati da aride montagne.
Percorrendo queste strade, peraltro deserte, l’unico “prezzo” da pagare è l’attenzione all’asfalto deformato dal sole cocente. ILHARA è un’altro luogo spettacolare, un canyon sulle cui pareti, in grotte naturali, sono state ricavate antiche chiese. Scendendo per una ripida scalinata si giunge in fondo alla vallata, quasi 16 Km. di camminamenti per raggiungere i vari siti archeologici. Compiuta la nostra bella escursione rientriamo a GOREME, questa volta per la direttrice principale dopo circa 120 Km..
Trascorriamo l’ultima piacevole serata in CAPPADOCIA passeggiando tra negozi e ristoranti più o meno caratteristici dove alcuni procacciatori le provano tutte per accalappiarti.
L’indomani di buon’ora ci rimettiamo in sella di buon’ora, avvistando sopra di noi grandi e variopinte mongolfiere. Per i turisti disposti a spendere circa 300.000 lire a testa, la possibilità di godere di un panorama unico al mondo. Puntiamo a Nord-Est, lasciando la CAPPADOCIA abbiamo la sensazione di allontanarci dalla parte più turistica della TURCHIA e nel contempo da tutte le nostre certezze. Vicino a SIVAS il paesaggio da monotono si fà molto bello, il nastro d’asfalto, perfetto, inizia a salire e serpeggiare tra le montagne, la guida si fa divertente, troppo divertente, così dopo una curva un poliziotto avanza sulla mezzeria invitandoci ad accostare. Una pattuglia su di un’auto civetta, un chilometro prima, ha rilevato il nostro passaggio a 120 Km/h superando di 30 Km/h il limite sulle statali turche. Non siamo contrariati, anzi, la contravvenzione arriva quasi come un piacevole diversivo, 26.600.000 Lire turche che fanno allincira 50.000 Lire italiane, pazienza.
Procedendo verso Est la TURCHIA cambia d’aspetto, decisamente sempre meno “europea”, sempre più orientale. Anche le soste in sgangherate stazioni di servizio non fanno altro che confermarci l’allontanamento dal nostro mondo. Affiora la stanchezza, giunti a ERZINCAN cerchiamo un alloggio per la notte. ERZINCAN è una città decisamente moderna, completamente ricostruita nel 1939 dopo un catastrofico terremoto che la rase al suolo e che provocò la morte di circa 30.000 persone.
Apprendiamo dalla Lonely Planet che questa è una delle zone più sismiche del pianeta. L’ultima scossa nel 1993 ha inflitto un’altro duro colpo alla città. Le stanze degli Hotel che visitiamo sono piuttosto sporche e maleodoranti, ci avviamo così verso il “migliore” albergo in zona, il Buyuk Otel, un brutto casermone stile ex URSS peraltro molto caro per la TURCHIA (70$ americani) ma almeno le camere sono pulite. Andiamo a passeggio per il “centro” cercando qualcosa da mangiare, le vie sono molto affollate di gente indaffarata, donandoci un’idea di grande sviluppo in atto anche in questo estremo oriente del paese. I cellulari ad esempio sono il genere merciologico più esposto nei negozi, secondo solo agli alimentari. Rientrando in Hotel ci assale un pizzico di sconforto circondati come siamo dalle squallide mura di questo triste edificio, oltretutto in giro non v’è l’ombra di un turista tanto meno in moto. Squilla il telefono, sono Luca e Laura due simpatici ragazzi di MACERATA conosciuti in nave, sono ad ISTANBUL ma sul BOSFORO il caldo è torrido, ci dicono di voler ripartire l’indomani verso la Cappadocia, salutandoci ci diamo appuntamento di lì a 4-5 giorni sul NEMRUT DAGI che noi affronteremo al ritorno. La telefonata di questi nuovi amici ci ha rinfrancato.
ERZINCAN è ormai alle nostre spalle, ritroviamo l’entusiasmo prossimi come siamo alla vera meta del viaggio, attraversiamo paesaggi desolati ma splendidi al tempo stesso, raggiungiamo una malandata stazione di servizio sperduta tra le montagne, stanchi ci sediamo chiedendo una Coca-Cola, in pochi minuti si radunano almeno una decina di persone tra bambini e adulti, sono tutti lì, seduti davanti al nostro cospetto, fissando noi e la moto in silenzio, confesso il nostro disagio, quasi un senso di colpa per la smaccata differenza (di possibilità economiche) tra noi occidentali e queste popolazioni tant’è che riprendiamo la marcia quasi senza consumare la nostra bibita.
Io e Ose interloquiamo via interfono interrogandoci sul nostro stato d’animo dopo quell’incontro faccia a faccia con questo mondo così differente. I CURDI sono afflitti anzitutto da una grande povertà, tuttavia al cospetto dei “ricchi” occidentali si dimostrano assai dignitosi e molto gentili, molto più dei smaliziati turchi.
Superata ERZURUM facciamo carburante e anche qui, come quasi ovunque, nell’attesa i benzinai non esitano ad offrirci il Cay (The).
ERZURUM è l’ultima grande città prima dell’IRAN. Si aprono dinnanzi a noi grandiose vallate solcate da pochi mezzi, sorpassiamo alcuni TIR con targa iraniana per lo più vecchi IVECO ma anche nuovissimi e poderosi MACK americani (ma tra il paese degli AYATOLLAH e gli USA non dovrebbero essere da tempo interrotti gli scambi commerciali?) mi basta osservare quelle strane targhe sui Truck per rendermi euforico, dopotutto anche se non siamo nemmeno a metà percorso, sento di aver “vinto” una piccola sfida. L’asfalto procede tra saliscendi e lunghi rettilinei dal fondo apparentemente perfetto ma che in realtà riserva molte insidie come improvvise buche che non è sempre possibile evitare, inoltre spesso e volentieri le gibbosità della pavimentazione fanno lavorare a dovere sospensioni e fondoschiena.
In prossimità di AGRI ho un attimo di distrazione che per poco non ci costa caro, grossi pezzi di legno stanno lì in mezzo alla carreggiata, quando mi accorgo dell’ostacolo vi sono ormai sopra. Gli ammortizzatori in qualche modo incassano il colpo ma il mio timore è quello di una foratura, ho infatti l’impressione di un rotolamento anomalo dei pneumatici, ma fortunatamente è solo un’impressione, dopo un paio di fermate a controllare tutto riprendiamo la marcia tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
Gli aridi altipiani lasciati alle spalle sono solo un ricordo, si fanno spazio verdi prati circondati da affascinanti rilievi. Osservo l’altimetro del GPS stabile intorno ai 1800 Mt. sul livello del mare.
L’atmosfera che si respira in questi luoghi è da posto di frontiera, l’Europa in tutti i suoi aspetti è da qui lontana anni luce. Alla guida il mio pensiero ricorrente è di un vero e proprio tuffo nel passato, confabulando con Ose la certezza di trovarci in un paese CENTRO ASIATICO che in nulla somiglia all’occidente da dove proveniamo. Man mano che il GS avanza verso Est i panorami si fanno sempre più straordinari. Anche il tempo è sempre sul bello stabile e l’altitudine rende i colori più vividi, i contorni più definiti. Dinnanzi a noi si staglia una piramide naturale gigantesca la cui cima però è avvolta da un cappello di nubi, è abbastanza raro infatti ammirare l’ARARAT (AGRI DAGI) sgombro da esse. Non riesco a nascondere la mia felicità fino alla commozione per essere riuscito a realizzare un sogno, poter ammirare panorami che semplicemente non trovano paragoni nei miei 15 anni di mototurismo. L’ARARAT è un vulcano di oltre 5000 Mt. ma non è tanto la sua elevazione a richiamare studiosi, archeologhi e turisti quanto il fatto che leggenda vuole l’ARARAT come la sacra montagna dove si andò ad incagliare l’arca di Noè dopo il diluvio universale, vecchie reminiscenze di quando ancora bambino mio padre mi parlava di questo luogo di cui si occupavano anche i documentari.
DOGUBAYAZIT è un paese di frontiera posto su di un’altipiano a 1700 Mt. di quota alle pendici dell’ARARAT e di un’altro luogo straordinario, L’ISHAK PASA SARAYI. DOGUBAYAZIT e i suoi dintorni, lo dico subito, sono a nostro giudizio, e non solo, il “Must” di tutto il viaggio; Panorami, colori, contrasti, volti sono a tinte forti. Sovente, solcando queste strade, avremo appunto la sensazione di vivere il meglio della nostra esperienza in TURCHIA.
L’impatto con questo piccolo agglomerato poco distante dall’IRAN è marcato, tutto quello su cui posiamo lo sguardo ci rapisce e sgomenta al tempo stesso. Vaghiamo con il BMW tra le dissestate vie del paese alla ricerca di un Hotel che non sembri una topaia, accorre in nostro aiuto una pattuglia della Polizia che ci scorta fino all’agoniato Grand Hotel Derya (la pomposità del nome non deve trarre in inganno) è comunque il migliore in città come indica la stessa Lonely. Posate le nostre cose in camera non resistiamo e nuovamente in sella saliamo all’ISHAK PASA SARAYI. Ricordo ancora il mio sbigottimento quando, anni indietro, vidi una fotografia di questo luogo realizzata da un “collega” e pubblicata (se non ricordo male) su MOTOTURISMO. Mi trovo ancora francamente incredulo dal trovarmi dinnanzi a quell’immagine. L’ISHAK è un fortino ultimato nel 1784 da un capitano curdo di nome ISHAK, Isacco ed è una straordinaria fusione di stili Selgiuchide, Ottomano, Armeno, Georgiano e Persiano. Il palazzo una volta in rovina è stato da pochi anni completamente restaurato anche se diversi aspetti dei lavori non sono esenti da critiche, ciò nonostante la visione di questo luogo specie al tramonto è qualcosa di assolutamente imperdibile !. Dopo una visita completa all’interno del complesso saliamo al piccolo ristorante in cima alla collina da cui si gode di una sublime veduta sul palazzo e sulla cornice circostante. Rapiti da questo incanto vediamo salire una piccola enduro, il tizio parcheggia a pochi metri da noi, è abbigliato con un pantalone verde militare, una sahariana e indossa un vissutissimo casco ARAI, senza nemmeno toglierselo dalla testa raggiunge il nostro tavolo porgendoci il saluto compiendo un mezzo inchino, ricambiamo, incuriositi da questo strano personaggio. Toglie finalmente l’elmetto presentandosi; Si chiama NARI è giapponese e sta girando il mondo da un anno e mezzo in sella ad una YAMAHA 250, lo invitiamo a sedersi tra noi e a condividere il cocomero sul tavolo. Rimango di sasso quando il nostro nuovo “idolo” ci comunica la sua età, 57 anni!!!, ….ci parla della sua incredibile esperienza partita dal CANADA, dove ha acquistato la moto, proseguito per STATI UNITI, centro e SUD AMERICA fino in PATAGONIA per poi giungere in NORD AFRICA, EUROPA, approdare in TURCHIA ed entrare in IRAN dove avrà termine la sua avventura.
Il tramonto è ormai prossimo, ci congediamo da NARI rientrando nella nostra stanza d’albergo.
L’indomani, al risveglio, la gradita sorpresa di una giornata radiosa, aprendo la finestra della camera, la splendida visione dell’ARARAT sgombro da nubi!, incredulo preparo in tutta fretta le “munizioni” (rullini e videocassette) prima che cambi questo stato di grazia. Saltiamo sul GS e ci dirigiamo verso GORBULAK, posto di frontiera con l’IRAN, a una trentina di Km. da DOGUBAYAZIT fermandoci svariate volte ad immortalare su pellicola e nastro magnetico le cime del piccolo e grande ARARAT non chè del grandioso “plateau” circostante. A 3 Km. dal confine superiamo una lunga fila di TIR parcheggiati a bordo strada in attesa di superare la dogana; Davanti ad essa un poliziotto vedendoci sopraggiungere, e forse intuendo il nostro recondito desiderio, a gran voce esclama “IRAN?!…” spalancando il cancello verso un mondo e una realtà a noi ignota. Inutile affermare che giunti fin qui avremmo desiderato ardentemente attraversare quel cancello, solo problemi di carattere burocratico non c’e l’hanno permesso. Sostiamo qualche attimo a contemplare quella linea di demarcazione, in lontananza le torrette di avvistamento dei militari. A pochi metri dal confine di GORBULAK si dipana uno strada solo battuta di qualche chilometro, porta ad un sito (METEOR CUKURU) bersagliato nel 1920 da un meteorite, formando un grosso cratere di 60 per 35 Metri, è il secondo al mondo per dimensioni. Osservando la ferita lasciata dal corpo celeste viene spontaneo chiedersi quanto violento sia stato l’impatto, credo davvero spaventoso.
Rientrando verso DOGUBAYAZIT, giriamo verso Nord, per IGDIR da dove godremo di altre grandiose vedute sull’ARARAT, saliamo di quota fino ad oltre 2100 Mt. attraversando poveri villaggi di poche case costruite per lo più di mattoni crudi, alcuni ragazzini intenti a giocare, al nostro passaggio raccolgono sassi per scagliarceli contro, fortunatamente li evitiamo ma la cosa mi lascia molto amareggiato. Prima di raggiungere IGDIR troviamo un paio di posti di blocco con militari in assetto di guerra (con carroarmato dietro ad un costone) sono cortesi: passaporti, “…ITALIA, Fatih Terim, Milan…” ecc. ecc.. Poco prima della città il percorso dagli oltre 2000 Mt. scende a 600-700 metri e anche i paesaggi scadono di interesse. Mi incuriosice però quella strada che, sulla cartina, disegna quasi un periplo alla base dell’AGRI DAGI(come i turchi chiamano l’ARARAT) ancora una trentina di Km. e, tirando diritto, ci troveremmo alle porte dell’AZERBAIJAN ma è ora di rientrare alla base.
E’ tardo pomeriggio e complice questa luce meravigliosa decidiamo di salire un’ultima volta all’ISHAK. Ritroviamo il nostro amico NARI, che oramai a corto di soldi ha trovato come riparo per la notte un angolo del ristorante. Veniamo a conoscenza del suo proposito di scalare l’ARARAT l’indomani con il supporto di una organizzazione alpinistica del posto, che finalmente dopo 10 anni di interdizioni delle autorità puo tornare a lavorare aiutando scalatori ma anche spedizioni scientifiche a scalare la montagna, impresa che come ho letto da più parti presenta non pochi rischi. Siamo sempre più affascinati da questo giapponese dalle mille risorse tanto che rimaniamo ore come rapiti dalle sue avventure. Arriva un Climber del luogo per sistemare con NARI gli ultimi dettagli per il suo gran giorno, ci congediamo definitivamente dal nostro amico augurandogli buona sorte per la sua nuova sfida e per un suo buon ritorno a casa. Nel parcheggio del Derya notiamo un nuovo arrivo, una BMW K1200LT di una simpatica coppia di ragazzi italiani con cui ci intratterremo per la nostra ultima serata a DOGUBAYAZIT nell’ottimo ristorante Derya, adiacente all’Hotel. Sveglia di buon’ora, colazione, e ci avviamo per una nuova entusiasmante tappa. Prendiamo la E-99 direzione Sud, un’altra strada tutta curve e panorami mozzafiato, oltretutto la perfezione della pavimentazione stradale nonchè la temperatura mite rendono il viaggio entusiasmante, l’itinerario segue per un pò il confine iraniano e la massiccia presenza di militari armati di tutto punto lo conferma. Montagne, deserti in quota, torrenti in mezzo a profonde fenditure nelle rocce, ancora paesaggi da favola, ad una trentina di Km. da VAN una piccola deviazione ci porta alle cascate di MURADYE dove sostiamo solo per qualche foto. Puntiamo su VAN e l’omonimo lago che avvistiamo in lontananza per il violento contrasto offerto dalle sue acque color cobalto in opposto agli aridi rilievi che lo circondano.
VAN è una città piuttosto grande, moderna e caotica in cui preferiamo non sostare optando per un bell’albergo a qualche Km. da essa già in direzione GEVAS che raggiungiamo subito smaniosi di approdare all’isoletta di AKDAMAR su cui, in antichità, fù eretta la CHIESA DELLA SANTA CROCE risalente al X secolo, meraviglioso esempio di architettura armena, raggiungibile con barche a motore. Aldilà degli aspetti storici e artistici AKDAMAR o AHTAMAR è un luogo straordinario anche solo per la sua collocazione. Il colpo d’occhio che il viaggiatore gode da qui è unico, salendo sulla collinetta dell’isola si può ammirare appieno del panorama della Chiesa con, sullo sfondo, il vasto lago ed una superba catena montuosa. La sublime veduta al calar del sole poi, assume contorni magici.
Il battello ci riporta alla terra ferma, ma prima di riprendere la moto per il nostro alloggio, l’appetito fa capolino, spuntino d’obbligo nella locanda posta proprio di fronte all’imbarcadero dove, tra una pietanza e l’altra facciamo conoscenza con il gestore, molto cordiale, e grazie al suo ottimo italiano che esercita con i turisti, siede tra noi testimoniando la sua conoscenza dell’ITALIA. Curioso come sono lo bersaglio a mia volta di domande sulla sua terra e questa gente che solo da poco ha ritrovato, almeno apparentemente, un po di serenità.
Ad una manciata di chilometri da qui, sul “lungolago”, una biforcazione indica HAKKARI, chiedo al nostro interlocutore quali problemi vi siano a raggiungere questa famigerata località, “nessuno…!”, è la lapidaria risposta, “…potete recarvi in qualunque luogo in TURCHIA senza nessuna restrizione e nessuna complicazione in fatto di sicurezza…ve lo garantisco…!”. Le sue parole e sopratutto la tranquillità nel pronunciarle ci infondono molta fiducia. HAKKARI è un paese molto remoto al di fuori di tutte le rotte turistiche posto tra le montagne all’estremo Sud-Est turco, quasi a ridosso del confine iracheno ma HAKKARI è la roccaforte della resistenza CURDA del PKK, fino a solo un anno fa non passava giorno in cui tra le forze militari turche e i guerriglieri guidati da “APO” (OCALAN) non si verificassero durissimi scontri a fuoco con numerose vittime anche tra i civili. L’esercito sbarrava la strada a chiunque, sopratutto scomodi osservatori stranieri desiderosi di approdare in questa famigerata località, ma si sa il proibito spesso affascina e così con la mia compagna scrutiamo la cartina ipotizzando il raggiungimento di questa “nuova frontiera”, tuttavia l’itinerario, oltre 180 Km. di montagne, ci obbligherebbe a perdere parecchio tempo, ripercorrendo oltretutto lo stesso tortuoso tragitto entrambe le volte.Verosimilmente il percorso oltre HAKKARI parrebbe sì proseguire, ricongiungendosi alle direttrici principali del Sud-Est ma non è chiaro (tutte le carte consultate non riportano per questo tratto note aggiornate ed attendibili) lo stato di percorribilità della strada, se sterrata, in costruzione o addirittura solo in progettazione, desistiamo sia pur a malincuore riavviandoci il giorno dopo destinazione NEMRUT DAGI in una delle tappe più lunghe ed estenuanti, oltre 600 Km., dove il caldo, quello vero, per la prima volta in questa avventura inizia a farsi sentire.
I paesaggi non sono più quelli, se non sporadicamente, di qualche giorno addietro, anche le quote si abbassano dai 1700 Mt. del lago VAN ai 500-600 Mt. s.l.m, con la canicola salire proporzionalmente. Lungo il tragitto da segnalare grandiosi ed antichi ponti romani che attraversano arcaici corsi d’acqua (TIGRI, EUFRATE). Con il Sole oramai prossimo allo Zen iniziano lunghi rettilinei in un’infinita serie di saliscendi senza nemmeno un albero all’orizzonte per potersi riparare dal Sole. DYARBAKIR è ormai vicina e il caldo sempre più opprimente, credo ben oltre i 40 gradi, decisamente stanchi troviamo rifugio in una stazione di servizio bar, dove anche qui si raduna una piccola platea ad osservare noi e il mezzo.
Chiedo dell’anguria per rinfrescarci (questa zona ne è la patria) purtroppo assente dalla dispensa ma intuiamo dai gesti del gruppo l’intenzione di esaudire comunque il nostro desiderio ed infatti di lì a pochi minuti vediamo sopraggiungere un ragazzino in bicicletta con il cocomero agoniato che poco dopo ci viene servito fresco su di un grande piatto che “spazzoliamo” a fondo, buonissima!. Al momento di pagare una sorpresa, nulla…!, Ose insiste ma l’offerta di denaro viene nuovamente respinta quasi con sdegno!, capisco che è meglio non perseverare per non offendere la loro ospitalità, ringraziamo tutti, colpiti da questo episodio (uno fra tanti) da questa popolazione fiera ma sempre generosa e disponibile verso noi “ricchi” stranieri. DYARBAKIR si annuncia, non poteva essere altrimenti, con un vero e proprio monumento al cocomero proprio a mò di Totem tra una corsia e l’altra della strada. Oltre l’agglomerato, verso Ovest, nuova sosta resa obbligatoria dalla temperatura in un moderno “Autogrill”, cerco e trovo un po d’ombra anche per la fida BMW sul retro dell’edificio, nel parcheggiare noto poco distante tipiche installazioni Radar piuttosto imponenti oltre alcuni caccia americani a bordo pista, chiedo informazioni e i benzinai confermano i miei sospetti, è la famosa base U.S.A di INCIRLIK da dove partivano, durante la guerra del golfo, buona parte dei raid sul vicino IRAK.
Tra gli avventori del locale diverse ragazze (molto carine) vestite perlopiù all’occidentale in stridente contrasto con quasi tutte le donne incontrate finora, evidenti anche in quest’aspetto tutte le lacerazioni di questo paese tra due mondi.
Forziamo il ritmo nella speranza di sfuggire a questo Sole così implacabile a queste latitudini, tuttavia è l’onnipresenza della Polizia a raffreddare i nostri bollenti spiriti, nuovo stop e nuova contravvenzione, inizia una serrata trattativa con gli agenti dopo la quale le fatidiche 26.600.000 Lire turche richieste scendono a 12.000.000 (circa 20.000 Lire italiane) che i poliziotti verosimilmente intascano dopo aver accuratamente evitato ogni verbalizzazione.
Chiamano i nostri amici di MACERATA, stanno iniziando la lunga salita verso il NEMRUT, siamo un po in ritardo sui tempi ma contiamo di raggiungerli nonostante una lunga attesa ad una cinquantina di chilometri da KHATA, dove la strada termina e per proseguire c’è solo un vetusto e precario Ferryboat Per salire al NEMRUT DAGI le indicazioni stradali sono rare e confuse sia in loco che sulla carta, al proposito assolutamente imprecisa, la cartografia del GPS non entra poi così in dettaglio, il risultato è che ci troviamo a vagare tra scassate stradine di montagna dove perdiamo più di un’ora (dopo quasi 600 Km. sulle spalle) unica consolazione l’attraversamento di un meraviglioso ponte romano perfettamente restaurato tanto che i veicoli possono transitarvi sopra, poi finalmente troviamo la retta via. Dietro ad una curva un GS 800 a bordo strada, a pochi metri il proprietario, un giovane tedesco intento a lanciare sassi a dei ragazzini, accosto chiedendo dell’accaduto, mi risponde che fermo ad una locanda poco distante con altri motociclisti sono stati fatti oggetto di una fitta sassaiola scatenando la furiosa reazione del collega dal quale raccolgo lo sfogo “…sono tanti anni che vengo qui e mai come ora ho preso tante pietre…non ne posso più…”, scuoto la testa solidarizzando con lui, avanziamo su di una strada molto stretta dove sorpassare i lentissimi DOLMUS è un’impresa, poco oltre raggiungiamo il mitico KERVANSERAY dove ci alleggeriamo dei bagagli, telefono a Luca e Laura (la rete cellulare in TURCHIA è formidabile) già in cima ad attenderci, chiedendo lumi sul fondo stradale, i quali, forse per non spaventarci, ci rassicurano invitandoci a raggiungerli e così facciamo. I primi tornanti li saliamo prudentemente ma senza problemi, aldilà di un leggero tremolio per via dei blocchi di Basalto che pavimentano il fondo ma dura poco, le vibrazioni diventano, man mano che avanziamo, una bruttissima “Tolè Ondulè” che mettono a dura prova gli ammortizzatori ma sopratutto il nostro fondoschiena già provato da questa massacrante tappa. Il tramonto è oramai prossimo e complice la forte pendenza mi trovo a guidare per diversi tratti con il sole in faccia non riuscendo così a vedere quasi nulla, in particolare grosse buche, un vero calvario, l’andatura è ridotta quasi a passo d’uomo, prima, seconda, prima e cosi via per quasi 10 Km., le braccia e i polsi mi duolgono ma in lontananza scorgo la vetta, impressionante!. Cerchiamo un parcheggio alla BMW ma non è facile, la strada non spiana, anzi, i blocchi di Basalto lasciano spazio ad un ghiaione dove le probabilità di caduta sono al 90% ma poi anche quest’ostacolo è superato, la felicità di aver raggiunto la meta stempera anche la forte tensione accumulata, restano alcune centinaia di metri di ripida ascesa, questa volta a piedi, ed ecco Luca e Laura con cui, a pochi metri dalla vetta, ci intratteniamo scambiandoci le esperienze di questi ultimi giorni di viaggio, poi si accomiatano dovendo raggiungere KHATA per trovare l’alloggio, per noi invece pochi passi e si apre uno spettacolo mozzafiato. A quota 2150 Mt. di altitudine un antichissimo sito formato da colossali statue raffiguranti il Re che le fece erigere e alcune divinità, tra esse l’imponente vetta artificiale di 50 Mt. realizzata con macigni di roccia sotto i quali potrebbe essere occultata la tomba di Re ANTIOCO. Nel corso della storia a causa di terremoti quasi tutte le teste delle statue rovinarono a terra formando così, in modo del tutto casuale, uno spettacolo che specie all’alba o al tramonto diviene assai suggestivo. Ridiscendiamo mentre cala la sera e a fatica guadagnamo il KERVANSERAY che raggiungiamo nella più assoluta oscurità rotta solo dal fascio di luce del GS, cena e dritti a letto dove crolliamo letteralmente.
L’indomani ce la prendiamo comoda nonostante la tappa del giorno si preannunci ancora più estenuante. Verso KHATA salutiamo i nostri amici che procederanno verso Sud intendendo visitare un importante ed antico centro del Sud-Est come SANLI URFA.
KHATA, ADYAMAN, GOLBASI filano via sotto le ruote, verso GAZIANTEP prendiamo una nuovissima autostrada che ci porterà più velocemente sulla costa, la nuova direttrice ha un solo difetto, non presenta stazioni di servizio peraltro segnalate da grandi insegne, quasi 400 Km. senza possibilità di rifornimento, entrati in riserva l’unica chance è uscire dall’autostrada cercare il primo paese con una pompa di benzina, quindi farvi ritorno. In autostrada, peraltro, ci è capitato di vedere di tutto come un furgoncino procedere in senso contrario sulla corsia di emergenza, ma più di ogni altra cosa, alcuni ragazzini dietro ad un curvone sulla 3° corsia intenti a ballare e dimenarsi incuranti del sopraggiungere dei veicoli ad alta velocità. Attraversiamo sterminati centri come ADANA e MERSIN poi finalmente ecco il mare, a pochi chilometri da SILIFKE, esausti, troviamo uno splendido complesso alberghiero proprio a ridosso della spiaggia dove rimarremo un paio di giorni a ritemprarci, di quì risaliremo la TURCHIA lungo la costa che in tutta onestà ci deluderà non poco. Lo stato della strada (400) sopratutto da SILIFKE ad ANTALYA si rivelerà assai insidioso con l’asfalto sovente deformato, in corrispondenza di svariate curve poi, il presentarsi di quel brecciolino tanto caro ai motociclisti da vietare qualunque piega, neppure accennata. I panorami, se non in qualche occasione, non sono in verità eccezzionali, sovente ci capiterà di incontrare lunghi tratti di costa devastati da una selvaggia cementificazione atta a soddisfare orde di turisti russi, ucraini, tedeschi, polacchi e naturalmente turchi offrendo soggiorni “low cost”, edificando oltretutto senza nessun riguardo architettonico e paesaggistico, tutto ciò, specie in prossimità di ALANYA assume aspetti di ancestrale squallore. Le cose fortunatamente cambiano (un po) lungo la COSTA TURCHESE, tutto appare più ordinato, più rispettoso dell’ambiente, più tipico.
I sobborghi di KAS ci danno il benvenuto con un nuovo stop della polizia, 3° multa per eccesso di velocità, oltrepassando il limite di ben 10 Km/h, ci ribelliamo, stufi di questo “eccesso di zelo” e proprio quando sentiamo di avercela fatta si intromette una “gentile signora” adoperandosi con tutte le sue energie affinchè i poliziotti riscuotano le ennesime 50.000 Lire italiane, a stento mi trattengo dal non strozzarla!.
KALKAN è un grazioso paesino della COSTA TURCHESE che scegliamo come base per le nostre escursioni balneari, come la bella spiaggia di PATARA, 20 Km. di sabbia bianca, famosa anche come luogo di riproduzione delle tartarughe. Trascorriamo gli ultimi giorni di vacanza tra tuffi in mare e bagni di sole, tuttavia un inconveniente alla batteria del GS ci fà anticipare il rientro a CESME, temendo una definitiva resa di quest’ultima con conseguente fuoriuscita di acido, compiamo un tentativo di sostituzione presso la BMW di IZMIR ma senza successo, così con le dita incrociate attendiamo la nave che ci riporterà a casa avendo ultimato il periplo del paese per un totale di circa 7.000 Km. Rimane in noi l’interrogativo di cosa si celasse oltre il confine di GORBULAK ad Est e quali realtà si nascondessero sulla strada HAKKARI – CIZRE ai confini con l’IRAK ma a queste domande solo un’altra “avventura” potrà dare risposta, tuttavia gli eventi di questi ultimi mesi ci fanno temere che in un prossimo futuro avvnturarsi in terre come MEDIO ORIENTE o in paesi CENTRO ASIATICI non sarà cosa facile.